ICONOCLAST
GAME
L’iconoclastia ha una tradizione antica; il suo più forte consolidamento si trova nella Bibbia, quando si interdice il culto per le immagini, intese come idoli, e si proclama l’irrappresentabilità di Dio, e per estensione di tutti gli essere viventi
Nei tempi moderni, sopratutto con le avanguardie storiche del XX secolo, ha cominciato a farsi strada una forma particolare di iconoclastia: la battaglia contro il culto delle immagini in generale: da intendersi in questo caso come “adorazione” dell’arte classica, in
quanto figurativa, canonica, aderente a modelli di rappresentazione rifiutati dai movimenti contemporanei.
Furono “iconoclasti“, in questo senso, i futuristi italiani, ma anche i suprematisti russi, gli astrattisti in genere.
Iconoclast game si inserisce in quest’ultima tradizione. Si tratta di un video-game: il fruitore deve compiere una specie di viaggio (con trappole e trucchi di vario genere) attraverso l’intera storia dell’arte occidentale.
Lo farà impersonandosi in una figura simbolica, quella del dadaista Marcel Duchamp, che fu un iconosclasta per eccellezza.
In ogni tappa del gioco si dovrà cercare di “liberare” un’opera d’arte imprigionata da qualche parte (l’idea fondamentale è che le prigioni siano musei). La lotta però avviene evitando i colpi di vario genere prodotti dal contenuto figurativo dei capolavori (il nemico che proviene dal San Giorgio e il drago di Paolo Uccello è il drago etc.)
Opera
Videogioco
sulla storia
dell’arte
occidentale
Episodio dopo episodio si trascorre per la chiesa di Sant’Apollinare in classe, il Compianto sul Cristo morto di Giotto, Paolo Uccello, il David di Michelangelo, Caravaggio, L’Innocenzo X di Velàzques, il Campo di grano con corvi di Van Gogh etc., imparando in fondo anche qualcosa sull’arte stessa.
Il gioco è divertente, piuttosto facile, modellato com’è sullo storico Pacman o Mario (come struttura, la grafica invece è di livello sofisticato).
Ma costituisce esso stesso un’opera d’arte, perché si rifà alle varie posizioni delle avanguardie storiche a proposito dell’ingabbiamento della cultura estetica occidentale.
Le citazioni sono molto numerose, volte a dissacrare una visione dell’arte come insieme di luoghi comuni e di banalità.
EROE
Il protagonista di Iconoclast Game è storicamente esistito lasciando un segno profondo nelle avanguardie artistiche.
Marcel Duchamp ha vissuto nel secolo scorso come “iconoclasta”, andando contro le icone istituzionalizzate.
IDENTITÁ
L’idea del videogame propone il tema del transfert tra il giocatore e l’eroe (l’Avatar) delle avventure, un archetipo della letteratura di ogni tempo. Nel gioco si potrà scegliere da subito tra due alter ego : uno femminile (Rrose Sélavy) e uno maschile (Marcel Duchamp).
GIOCO SERIO
Con l’interazione il giocatore si prende simbolicamente le sue responsabilità: in questo caso difendersi o meno dai capolavori della storia dell’arte che tentano di schiacciare l’eroe. Le opere d’arte minacciano l’intima creatività fino a ucciderla. La minaccia si trasforma nell’occasione di liberare i capolavori e se stessi dall’adorazione passiva dei valori della civiltà.
MISSIONE
Simbolica e metaforica: percorrere tutta la storia dell’arte occidentale – dai bizantini ai contemporanei – per ritrovare il proprio doppio, la propria immagine identitaria che è emblematicamente opposta: maschile e femminile, realtà e rappresentazione, arte e vita.
Light-Box
Collezione Claudia e Mauro Turchi
cm. 60x45x15
Video installazione interattiva
Anteprima a Grandi Stazioni – Trenitalia – Prima nazionale alla Stazione di Santa Maria Novella, Firenze, Settembre/Ottobre 2004
Struttura
Il software interfaccia video e pubblico. Il singolo spettatore può giocare col movimento del proprio corpo, col video davanti a lui ed una piattaforma interattiva sotto i piedi: creando una danza
L’ARTE, IL GIOCO, IL MONITOR E IL PRESENTE
Raffaele Gavarro
Quello che ha fatto Lorenzo Pizzanelli con Iconoclast Game è quanto di più geniale e inutile vi possa capitare di incontrare in tutta l’arte di questo tempo che è tutt’altro che prevedibile.
Ma prima di entrare nei livelli di gioco e di comprensione di Iconoclast – che per un vecchio videoplayer come me, a suo tempo quasi impazzito per i trabocchetti pressoché irrisolvibili di Lara Croft III, rappresenta un’occasione gustosissima – tutto questo straordinario lavoro di Leonardo Pizzanelli ci obbliga a ragionare sulla e della modernità. Soprattutto di come la natura del moderno, e l’esperienza storico-temporale che ne consegue, sia cambiata con la conclusione del postmoderno.
Una conclusione indotta dall’automatica ripresa dell’univocità di un progresso, che si è naturalmente immedesimato alla progressione tecnico-scientifica.
Dove il postmoderno scaltramente opponeva una strategia di accettazione delle contraddizioni della modernità, deducendo da queste contrarietà alla progressione positiva, una sorta di frattura da cui i frammenti individuali trovavano una nuova necessarietà storica, oggi si torna a percepire un movimento più ampio, collettivo, delle dinamiche dello sviluppo progressivo.
La tecnologia conosce infatti una diffusione talmente capillare (riferendoci naturalmente solo al mondo occidentale) tale da non lasciare l’individuo isolato nelle nuove possibilità di conoscenza e comunicazione. È una questione pratica, ma prima ancora di tipo teorico. L’individuo ritorna ad essere una unità essenziale di una dinamica complessiva, collettiva, dello sviluppo storico. Fenomeni come l’associazionismo politico, sociale, culturale, ecc. vanno nuovamente letti in questa ottica, così come lo erano stati nelle fasi salienti della modernità “storica”.
Ma di fatto questa nuova fase della modernità – definita per primo dal sociologo tedesco Ulrich Beck nella seconda metà degli anni novanta come seconda modernità (“La società del rischio. Verso una seconda modernità”, 2000) – ha riproposto la relazione essenziale tra modernità e tempo che il postmoderno aveva tentato di confutare con la perdita di riferimenti comuni e in definitiva con uno spostamento di attenzione al valore dello spazio nell’orizzonte dell’uomo.
Zygmunt Bauman nel suo “Modernità liquida” (Editori Laterza, 2002), parla di questa relazione con chiarezza definitiva:
“La storia del tempo ebbe inizio con la modernità. Di fatto, la modernità è, più di ogni altra cosa, la storia del tempo: la modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia”
Questo è tornata ad essere la condizione della seconda modernità, o neomodernità, o surmodernità come di volta in volta è stata chiamata. Uno stato di immedesimazione che però è adesso indissolubile al divenire di un presente che non conosce più soluzioni di continuità, e che si rivolge tanto al passato quanto al futuro con un cannibalismo radicale. Esiste solo il presente, in conseguenza ad un’accelerazione della progressione che non lascia spazio ad un ripensamento del passato, così come ad una proiezione immaginativa nel futuro, che di fatto coincide con il progredire quotidiano. Siamo assediati da un presente che è quindi determinato dalle stesse condizioni ambientali che andiamo formulando. .
In questo scenario Iconoclast Game formula una precipitazione dell’arte del passato in una dimensione parallela, virtuale, di gioco, creando un presente inqualificabile e un futuro aperto alle soluzioni del gioco. Iconoclast Game è un microsistema autonomo di sviluppo temporale e di confronto con le dinamiche della progressione, che però naturalmente trova origine e sussistenza dal presente moderno. Tra qualche mese, al massimo un anno, Iconoclast sarà obsoleto, inutilizzabile da sguardi e operatività ben altrimenti sviluppate.
La scelta di Marcel Duchamp (e naturalmente quella di Rrose Sèlavy) come figura di riferimento nel gioco (avatar) è quanto mai significativa della consapevolezza di Pizzanelli di essere di fronte ad una probabile condizione estrema, di fine. La modernità di Duchamp sta infatti proprio in tale rinuncia che non ha niente di romantico, ma che è proprio in questo stare ben dentro al presente. Pizzanelli richiama su di sé la condizione dell’artista che ogni giorno conclude la propria esperienza in modo definitivo, e ogni giorno la rinnova in modo altrettanto perentorio.
Il gioco sviluppa in dodici livelli in cui dobbiamo liberare ogni volta un’opera d’arte che è musealizzata, rinchiusa in una dimensione del passato non più realmente accessibile. Lo facciamo dopo aver scelto il nostro avatar maschile o femminile, che solo alla fine dei dodici livelli si ricongiungeranno nell’unità da cui pure provenivano. Ma mentre procediamo nel gioco è il monitor che assume il vero carattere di opera d’arte.
Ad esso, fedele specchio del nostro presente, Leonardo Pizzanelli destina il ruolo di assoluto detentore dell’immagine e delle sue capacità. Naturalmente questa è anche una sfida: in questo rispecchiarsi c’è infatti ancora la necessità di guardarsi nel presente e di scoprirsi diverso dalla semplice immagine riflessa.
Perché l’opera d’arte continua comunque a servire a questo: capire chi siamo e dove siamo. Almeno.
UN VIDEOGIOCO. LA PRIMA RIFLESSIONE CONTEMPORANEA SULL’ARTE OCCIDENTALE
Game Over Contemporary Art
Davide Grosso
In un tempo ormai lontanissimo dalle sue origini, spetta al videogioco e alla sua dimensione virtuale il compito di essere opera d’arte.
Le radici dell’arte occidentale sono strettamente legate alla diffusione del cristianesimo e al suo culto delle immagini, infatti, sia i grandi imperatori che i papi non tardarono a capire le enormi potenzialità che può avere l’iconografia nel rappresentare, rafforzare e rendere più umane cose altrimenti difficili da capire (e da adorare). Prima esaltato, poi rinnegato e ostacolato e poi nuovamente ripreso, il culto delle immagini ha prodotto nei secoli alcuni dei più grandi capolavori dell’umanità, passati dalle chiese ai musei.
L’opera-videogioco di Lorenzo Pizzanelli, Iconoclast Game, si inserisce in questo solco e ci fa emergere nel museo del cosmo primigenio nel quale sono intrappolate alcune opere d’arte. Il primo passo è scegliere il personaggio: Marcel Duchamp o il suo alter ego Rrose Sélavy… la vita o l’arte? Questo sdoppiamento è il filo rosso che guida tutto il pensiero dell’opera. Nel prologo, procedendo su un cielo stellato e sdoppiato, incede il protagonista con il suo riflesso fin quando appare la morte a rompere, almeno apparentemente, il dualismo e lo rapisce. Così, l’eroe si ritrova in un museo nel quale le opere d’arte (decontestualizzate) diventano ostili, simbolo di una cultura museale obsoleta e conservatrice che attacca il procedere del nuovo impedendone la crescita.
Superati dodici livelli che simboleggiano altrettanti periodi della storia dell’arte occidentale, si arriva all’epilogo nel quale tutto si ricongiunge. Arte e vita, maschile e femminile, bene e male procedevano parallelamente ma su diversi piani e qui, raggiunto un simbolico livello di conoscenza, è possibile ritrovare se stessi e i doppi si riuniscono. Tra questi continui riferimenti al Futurismo e alle avanguardie del novecento, si colloca questa opera che intende liberare l’arte del passato ormai banalizzata e svuotata della sua vera essenza. Vuole essere moderna riflessione dell’antico imprigionato nel luogo comune di un’epoca ormai tramontata, e sul moderno che fatica ad emergere. E proprio nel mondo moderno che l’artista si muove con la consapevolezza di chi sa che solo il presente è possibile,
L’opera strutturata come una piattaforma da sala giochi nella quale il fruitore interfacciandosi con il video diviene performer, si presenta in altre versioni, una studiata per il web e più ridotta (Net Art) ed una in DVD contenente l’opera completa, oltre ad una serie di quaranta Lightbox con le foto di alcune fasi salienti del video. É stata presentata alla stazione Termini di Roma con una performance e musica dal vivo. Una chitarra elettrica improvvisa su un pezzo elettroacustico di quattro compositori-ricercatori e due performer (uno è lo stesso artista) commentano in diretta il gioco spiegando al pubblico i vari riferimenti storico-artistici e la notte bianca di Livorno torna a Roma in Settembre per poi volare a rappresentare l’arte contemporanea italiana a Shanghai in Novembre per la mostra “8 Faces” organizzata dal Duolun Museum of Modern Art con lo scopo di promuovere ed esibire in armonia l’arte contemporanea di otto differenti paesi e culture.
LEGGI ALTRA CRITICA SU ICONOSCLAST GAME
E se i destini non solo dell’arte, ma dell’intera cultura occidentale, si fossero decisi tra il 726 e il 787 d.C., cioè tra la distruzione delle immagini sacre ordinata dall’imperatore bizantino Leone lll Isaurico e il successivo Concilio di Nicea, che deliberò invece la liceità del loro culto?
Questa ipotesi è stata avanzata a più riprese da vari studiosi, e coinvolge considerazioni che vanno al di là dello specifico artistico, per assegnare alla dialettica fra iconoclastia e iconofilia un ruolo strategico nella formazione delle costellazioni culturali in cui ancora oggi siamo immersi. Se l’intenzione di dell’imperatore Leone era infatti di arginare il potere che il clero esercitava attraverso il culto delle immagini, il ruolo di queste ultime ha dimostrato ormai di saper travalicare una particolare epoca culturale e politica. Le immagini continuano infatti ad avere un ruolo centrale anche dopo il declino della religione cristiana come collante sociale fondamentale, nella società secolarizzata e “disincantata” che si è costruita nel corso della modernità.
La vittoria dell’iconoclastia fra l’VIII e il IX secolo dell’era volgare potrebbe, insomma, aver segnato l’Occidente in maniera apparentemente irreversibile.
La centralità dell’immagine è oggi sancita dal suo ruolo fondamentale nella comunicazione sociale, dalla pubblicità, televisione e internet. Ma non c’è dubbio che la giustificazione culturale e storica più profonda di tutto ciò riposi ancora nella storia dell’arte occidentale: l’arte infatti non costituisce solo il più imponente deposito di immagini a cui attingono appunto pubblicità, televisione e internet, ma rappresenta ancora in qualche modo un parametro che garantisce l’”autenticità”, il valore, l’importanza sociale dell’immagine che circola così abbondantemente nella nostra società. Si potrebbe dire che, in qualche maniera, l’arte ha ereditato il ruolo sacrale che fu un tempo della religione (per quanto di sacro può sopravvivere una società desacralizzata come la nostra), e che essa rappresenta perciò uno dei pochi “assoluti” che ci siano ancora permessi. Non contraddice questa osservazione, anzi la rafforza, lo stretto legame dell’arte col denaro, per il tramite di un mercato inflazionato e spesso artificiosamente gonfiato, ma che serve però a fissare una “scala di valori” che proprio per essere saldamente monetizzata appare sempre più oggettiva.
E però, paradossalmente, non possiamo ignorare che la storia dell’arte occidentale nel Novecento è segnata da una robusta lotta contro il valore sacrale dell’immagine, contro l’”aura” dell’opera d’arte, per usare il termine introdotto da Walter Benjamin nel famoso saggio del 1936 su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
E, se non l’iniziatore, il più intelligente e spregiudicato esponente di questo atteggiamento fu senz’altro Marcel Duchamp.
Non ci si può stupire, perciò, che proprio Duchamp sia il protagonista di Iconoclast Game, un curioso e originale videogioco sulla storia dell’arte occidentale ideato, progettato e diretto da Lorenzo Pizzanelli, un giovane artista fiorentino già noto ai nostri lettori. Con il coordinamento musicale di Francesco Giomi e la consulenza per lo sviluppo multimediale di Alberto del Bimbo, che dirige il Master in Multimedia della RAI di Firenze, Pizzanelli ci propone un corposo excursus fra i capolavori dell’arte protomoderna e moderna, dai mosaici bizantini e Giotto, attraverso Paolo Uccello, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Velàzquez (rivisitato anche da Bacon) David, sino a Van Gogh, Kandisky e Duchamp (ma nell’epilogo compaiono anche artisti contemporanei come Beuys, Christo e Orlan), tutto all’insegna della lotta contro la prepotenza e l’invadenza dell’immagine – e con una squisita dissacrante ironia.
Può sembrare paradossale, per chi conosca la solida formazione artistica e intellettuale di Pizzanelli, che proprio lui si sia lanciato in una crociata del genere. Ma le perplessità svaniranno se si pensa alla concreta e oramai decennale attività di questo artista multimediale, alla qualità rigorosa e innovativa dei suoi progetti, alla sua capacità di spiazzare lo spettatore e l’interlocutore azzerando d’un colpo le “idee ricevute” ma mostrando al contempo di prendere molto sul serio il valore e il ruolo della tradizione. Perché, giunto alla fine della sua esperienza, chi avrà percorso tutte le stazioni del videogame capirà, meglio che con cinque libri o dieci conferenze, che l’unico modo per fare i conti davvero con l’arte del nostro passato è quello di liberarla dalle incrostazioni ideologiche e abitudinarie che hanno trasformato dei capolavori in luoghi comuni di una cultura diffusa e banalizzata.
Vediamo quindi un po’ più da vicino questo Iconoclas Game. Come abbiamo visto, il personaggio guida, quello con cui deve identificarsi il giocatore per superare le dieci stazioni del gioco, è Marcel Duchamp. Nel prologo Duchamp appare sullo sfondo in un cosmo rosseggiante, in una doppia versione riflessa, maschile e femminile (ricordiamo l’identità femminile di Duchamp, la Rose Sélavy creata a New York nel 1920, con cui l’artista firmò varie opere). Ma arriva la morte a rapire la parte superiore del nostro doppio protagonista, e a precipitare quella inferiore sulla Terra. Come nel mito platonico del Convitto, l’unità dell’androgino è spezzata, e il Marcel (o Marcela) caduto dovrà superare dieci prove all’interno di un museo prima di potersi ricongiungere con la propria metà e rinnovare l’universo in una conflagrazione cosmica.
Dentro il museo i quadri e la scultura (ve n’è solo una, il David di Michelangelo) incontrati mano a mano dal nostro eroe/eroina si animano, e lo/la minacciano. Il giocatore deve imparare a schivare pecore, agnelli, draghi e cavalieri, Cupidi ed esiziali gocce, Napoleoni e corvi, dentiere e bocche, sino ai terribili punti e linee di Kandinsky.
Ma che armi può avere a disposizione per contrattaccare? Solo uno spray, un ombrello e un martello lasciati cadere dalle frotte di turisti che a ogni cambio di quadro attraversano a frotte il museo (e che tenteranno comunque di travolgerlo).
I dieci quadri in cui si articola il gioco sono una sarabanda di movimento, un turbinio di attacchi e contrattacchi, un concentrato di malvagità da parte delle figure dei dipinti e di astuzia (ma anche di violenza) da parte del giocatore/Marcel, per disegnare il quale Pizzanelli ha scelto un adorabile stile di figurina popolare, o da fumetto tipo ligne claire, per accentuare la familiarità col personaggio ed esorcizzare l’eventuale perplessità del giocatore a distruggere dei capolavori dell’arte.
Iconoclast Game sarà tra breve in commercio su CD-Rom, ma nel frattempo ci si può familiarizzare con esso sul sito http://www.iconoclastgame.it/ . Ed è anche in preparazione uno spettacolo di video-danza dallo stesso titolo, nel quale Duchamp, interpretato da un danzatore, va incontro alle stesse avventure del videogioco.
da Computer & Internet – Gennaio -Marzo 2003 Pag. 85, 86.
da: L’UNITÁ pag. 32- Domenica 19 gennaio 2003
Un gioco interattivo che trasforma il visitatore nel protagonista di un’avventura sullo sfondo di un’opera d’arte, con incredibili musiche e sonori sincronizzati con lo svolgersi delle azioni e minacciosi fantasmi contendersi la vittoria: questo ed altro ancora è il risultato del lavoro che Integration and Comunication Center dell’Università di Firenze che in un innovativo videogame, vuole introdurre gli spettatori ad una riflessione sulla storia dell’arte, sia a livello mentale che fisico.
Ed è infatti, con il proprio ego virtuale, il quale deve superare di volta in volta nuovi ostacoli, sin alla liberazione del quadro in cui si svolge la lotta.
Diretto artisticamente da Lorenzo Pizzanelli, l’evento che ospiterà il suo gioco è Fabbrica Europa, a Firenze l’8, il 9 e il 10 maggio presso l’ex Stazione Leopolda. In rete, invece, l’appuntamento è al www.iconclastgame.it
da La Repubblica.it Affari & Finanza- lunedì 05 maggio 2003
La storia dell’arte occidentale raccontata attraverso un videogioco multimediale accessibile dal Web: all’url www.iconoclastgame.it chiunque può inoltrarsi nei sentieri delineati intorno all’immagine, come fulcro della comunicazione sociale moderna, esplicata attraverso il cinema, la televisione e il Web.
Progettato da un giovane artista fiorentino, Lorenzo Pizzanelli, Marcel Duchamp è il protagonista delle varie avventure proposte in Iconoclast Game, che servono all’ideatore per condurre il giocatore all’interno di un excursus fra i capolavori dell’arte protomoderna di Giotto, Paolo Uccello, Botticelli, Leonardo sino a quella moderna di Van Gogh e Kandinsky, arrivando a sfiorare quella contemporanea di Beuys, Christo e Orlan.
Scopo del gioco: rivivere l’arte liberandola dalle incrostazioni ideologiche. Già presenti il livello O (“Tourist Invasion”) e l’ 1 (“David”), il 2 (“Gioconda”) è atteso per il 27 marzo.
da La Repubblica Affari & Finanza- Multimedia pag. 19 del 24 marzo 2003 – anno II
“Iconoclast Game” alla stazione Leopold
Firenze – la multimedialità dei videogiochi questa volta si è unita alla storia, all’arte e a tutta quanta la storia dell’arte: in queste sere, alla ex-Stazione Leopolda in occasione di Fabbrica Europa, sarà presente Iconoclast Game.
Non più solo la fredda e asettica immagine tipica dei videogiochi, ma un pensiero composto dalla riflessione sull’intero “sistema” che porta il nome “arte”: è questa infatti la componente predominante che caratterizza il videogioco dalle curiose caratteristiche: Iconoclast Game è ideato e diretto da Lorenzo Pizzanelli che, in collaborazione al Master Multimedia dell’Università di Firenze, ha voluto creare un’opera video che si ponga come riflessione critica sull’intero mondo dell’arte occidentale e sulla sua storia, dal Cristianesimo e dai Bizantini fino alle opere e agli artisti dei giorni nostri.
Con il coordinamento musicale di Francesco Giomi e la collaborazione grafica di Fariba Ferdosi Milani, Pizzanelli conduce il giocatore (che al contempo diviene parte interagente del gioco) fra i capolavori di ogni tempo, tra Paolo Uccello, botticelli, Leonardo, ma anche Michelangelo e Velazquez, fino a Bacon, Kandinsky, per non parlare di Marcel Duchamp, che insieme al suo alter ego femminile è il protagonista del videogioco.
E di questo non c’è da stupirsi, come scrive Antonio Caronia nell’introduzione critica a Iconoclast Game: “L’arte infatti non costituisce solo il più imponente deposito di immagini a cui attingono appunto pubblicità, televisione e internet, ma rappresenta ancora in qualche modo un parametro che garantisce l’autenticità, il valore, l’importanza sociale dell’immagine che circola così abbondantemente nella nostra società.”
Da casa propria è già possibile conoscere il gioco al sito www.iconoclastgame.it, ma la novità dell’evento presente alla Stazione Leopolda sarà quello di giocare a Iconoclast Game non solo attraverso lo schermo del computer, ma in prima persona e con il proprio corpo. Lo spettatore, attraverso la propria gestualità, muoverà Duchamp, cercando di superare difficoltà e pericoli, come i turisti che gli piomberanno contro o il grande David michelangiolesco che farà di tutto per schiacciare con la sua mastodontica mole il giocatore. Starà all’abilità di ciascuno riuscire a schivare draghi, cavalieri, ma anche corvi, Napoleoni o le terribili linee di Kandinsky.
da il Corriere di Firenze / Il Corriere – pag. 19 – Giovedì 8 maggio 2003
Il David e la Gioconda nel gioco ideato da Lorenzo Pizzanelli
Firenze: presto in uscita un videogioco ambientato in mezzo alle opere d’arte. Dopo la famiglia virtuale di Sin City, la violenza di Vice city, le battaglie di Rainbow Six e le corse di formula Uno GP, arriva Iconoclastgame, opera videogioco interattivo sulla storia dell’arte occidentale che sarà presentato in anteprima nazionale domenica 19 gennaio alle ore 21,30 nello spazio BZF Vallecchi (via Panicale,61r) e contemporaneamente al sito www.iconoclastgame.it.
Si tratta di una serie di avventure nei due schemi chiave del David di Michelangelo e della Gioconda di Leonardo, che hanno come prologo il rapimento dell’alter ego o del doppio di Marcel Duchamp, da parte della morte, e bonus dei turisti da scansare. In attesa che gli autori svelino alcuni ulteriori dettagli dell’opera multimediale in vendita da maggio, edita da Vallecchi in cofanetto libro.cd rom, allo spazio BZF, la presentazione di domenica sarà accompagnata da una performance realizzata dall’autore Lorenzo Pizzanelli.
A seguito della performance il pubblico verrà coinvolto nell’interattività del gioco on-line, con proiezione video su grande schermo e nello spazio espositivo rimarranno (dopo l’inaugurazione del 19 gennaio) dei graffiti su specchio che illustrano scene salienti dell’opera con tanto di foto digitali, sempre di Pizzanelli.
L’opera si pone come una riflessione critica sulla stessa storia dell’arte occidentale, quella storia che ha scelto di rappresentare in forma figurativa il Sacro, trasformandosi in una sorta di ricerca affannosa nella personificazione della “Verità”, attraverso giochi di potere tra le stesse icone. Non solo un gioco, o perlomeno un gioco meno inconsapevole o più stimolante del solito. Infatti oltre al ricco carnet di domenica a BZF, quando saranno presenti anche l’ideatore e direttore artistico Lorenzo Pizzanelli, il direttore musicale Francesco Giomi, Iconoclast Game sarà presentata a teatro in prima nazionale a Fabbrica Europa (ex Stazione Leopolda, Firenze) e successivamente all’interno del Festival Nazionale della Performance a Pescara e al Teatro Comunale di Città S. Angelo, in Abruzzo.
da METROPOLI – Firenze, anno VI n. 2/2003 Venerdì 17 gennaio 2003 – pag 33 Mode & Modi
In principio fu la Gioconda con i baffi. Era il 1913, quando Marcel Duchamp ne espose a Parigi una copia ritoccata. Duchamp non intendeva farsi beffe di quel capolavoro. Il suo gesto rivolto a noi, visitatori di musei dallo sguardo offuscato dai pregiudizi e dai luoghi comuni. Se con quel gesto non gli riuscì di modificare la nostra percezione dell’arte, tuttavia l’arte da allora non sarebbe più stata la stessa.
Accade ora che Duchamp faccia il suo ingresso in un videogame d’autore quello firmato da Lorenzo Pizzanelli che per qualche giorno sarà installato nell’atrio della stazione di Santa Maria Novella.
Il giocatore può identificarsi con uno dei protagonisti dell’avanguardia storica. E andare all’Accademia a vedersi il David di Michelangelo come farebbe Duchamp? Che cosa lo aspetta?
Intanto, deve fare i conti con le torme dei turisti. Lui naturalmente non è uno di quelli. Al contrario è uno che detesta i riti pseudoculturali che ci affliggono. E quindi i turisti li evita, peggio che se fossero degli appestati. Infatti se non ci riesce viene estromesso dal gioco. Altrimenti procede, ed eccolo di fronte al capolavoro michelangiolesco. Che anziché suscitare in lui sentimenti di ammirazione, gli appare come un peso enorme che lo schiaccia. E non è solo il peso della tradizione o delle incrostazioni ideologiche. E’ una massa di marmo che lo minaccia.
SE L’ARTE E’ DI MASSA DIAMOLE FUOCO
Non gli resta che ridurlo a colpi di martello. Se ci riesci ha vinto. Vale a dire, si è liberato del David e di tutto ciò che per secoli il David ha rappresentato. Contemporaneamente liberando il David da quanto lo ha ridotto a icona turistica.
Qual’è dunque l’idea che sta dietro il videogame? Più o meno questa. La società in cui viviamo, ossia la società dello spettacolo e del turismo di massa è totalmente persa all’arte. L’arte non è più arte, bensì merce e quindi pura falsità. La sola cosa da fare, se la si ama, e se si vuole salvarla, è di distruggerla. Insomma, all’iconolatria che ha trasformato il mondo reale in un mondo di immagini, dove non c’è più differenza fra una grande opera d’arte e uno spot pubblicitario, non si può rispondere se non con l’iconoclastia.
Indubbiamente il videogioco ha una sua logica. E tuttavia…Presupposto del gioco è che il giocatore-visitatore del museo non sia un turista, bensì un amante dell’arte. Ma non è proprio questo che ogni turista crede di essere? Chi e che cosa lo autorizza a distinguersi da tutti gli altri? Ognuno vede se stesso come un altro rispetto alla massa. Ma non è un po’ come quando in coda in autostrada imprechiamo contro tutti quegli imbecilli che, chissà perché. Si son messi per strada in macchina. C’è poi (seconda obiezione) il fatto che tutte le immagini, tutte le icone vengono messe sullo stesso piano. Queste o quelle non fanno differenza alcuna. Sono tutte da bruciare. Già ma a suggerircelo è qualcuno che rivela una lunga e appassionata frequentazione dei musei, qualcuno che è in grado di smaschera l’inganno estetico grazie alla sua conoscenza dell’arte. E sembra aver dimenticato che le grandi opere d’arte contengono una tale riserva di significati da rappresentare la critica più efficace al mondo che ne fa oggetto di consumo. Infine (terza obiezione): se la sola via è la distruzione delle immagini, che differenza c’è fra l’iconoclastia raffinata di chi l’arte la conosce anche troppo bene e l’iconoclastia brutale di chi non sa quel che fa? Non è un po’ poco dire che un conto è farlo per gioco e un conto farlo sul serio? A prevalere non è comunque un certo spirito talebano?
Sia come sia, non si può negare che la provocazione messa in atto dal videogame abbia una sua forza d’urto. E poiché nonostante tutto c’è da sperare che nessuno sia così pazzo da passare dalla finzione a vie di fatto e impugnare martello o la bomboletta spray, può darsi che in questo clima di profonda depressione artistica accogliere i turisti con una sfida del genere non sia poi un’idea da buttare..
da LA REPUBBLICA – Firenze cronaca pag. I e V, Venerdì 1 ottobre 2004
A partire dal 30 settembre fino al 6 ottobre alla stazione di Santa Maria Novella sarà possibile “giocare” con i grandi capolavori della storia dell’arte.
Nell’atrio principale della Stazione sarà installato un video con cui il giocatore che sullo schermo impersonificherà il noto avanguardista dei primi del Novecento Marcel Duchamp, armato di spray, martello e di un ombrello, dovrà percorrere i 12 livelli che metteranno a dura prova i suoi riflessi.
Il protagonista del gioco dovrà infatti avanzare in una galleria d’arte schivando i turisti, ripararsi con l’ombrello dalle lacrime che scendono dall’angelo di Giotto, prendere al volo le lettere che cascano dalla bocca della Gioconda, colpire col martello virtuale il David così da rimpicciolirlo e renderlo più piccolo di sé, il tutto condito con significati metaforici e divertenti.
“L’opera-videogioco IconoclastGame- ha commentato l’assessore Simone Siliani – che sarà presentata in prima nazionale per la chiusura della manifestazione FirenzeEstate 2004, si pone come riflessione critica sulla storia dell’arte occidentale” dai bizantini all’arte contemporanea”.
Anche se nel videogioco aperto al pubblico di piazza S.M Novella sarà possibile giocare solo con 3 livelli (Turisti, Bizantini e David), a partire da dicembre in tutte le librerie sarà possibile acquistare un libro/catalogo edito dalla Casa editrice Vallecchi, con CD Rom allegato contenente il gioco e l’opera completa di tutti i capolavori della storia dell’arte.
Lorenzo Pizzanelli che ha curato la sceneggiatura e la regia del gioco ha aggiunto “Una volta nella postazione-macchinario il giocatore potrà, tramite i movimenti d’interazione col personaggio virtuale di Duchamp, costruire un legame diretto con le opere d’arte del passato e contemporanee. Attraverso il linguaggio e le tecnologie del videogame verrà dato dunque allo spettatore-giocatore la possibilità di analizzare criticamente i contenuti delle icone “virtuali”
da LA NAZIONE Firenzepag. VII – Martedì 28 settembre 2004
The main character, which the player has to identify with in order to get past the stages of the game, is Marcel Duchamp. In the prologue Duchamp appears on a reddish cosmos background, in a double-reflection version, male and female (let us recall Duchamp female identity, Rose Sélavy created in New York in 1920, with which the artist signed various workes). But death comes to kidnap the superior part of our double hero, and lets the other one drop down towards the earth.
Just like in the Platonic myth, The convito, the unity of the androgynous is broken and the fallen Marcel (or Rose) will have to complete ten different tasks inside a museum before he/she will be able to reunite with his/her other half and renew the universe in a cosmis conflagration. Inside the museum, the paintings and the sculpture (there is only one – Michelandelo’s David) our hero/heroine meets on his way come to life and threaten him/her.
What if the destiny, not only of art, but of all of Western culture. Had been decided between 726 and 787 A.D., i.e., between the destruction of sacred images ordered by the Byzantine Emperor Leo III Isaurico and the following council of Nicea, which, on the contrary, declared the lawfulness of their cult?
Images continue to have a central role – even after the decline of the Christian religion as a crucial means of social cohesion – in the secularised and ‘disenchanted’ society which has formed in the course of modernity.
The victory of iconolatry between the VIII and IX Century of the vulgar era, in other words, could heve marked the West in an irreversible way.
The only way to really come to terms with the art of our past is by freeing it from the ideological and habitual incrustations, which have transformed some masterpieces into common places of a diffuse and banal cuture.
da BLOGWORK – the network is the artwork
Pittura, musica e cinema: così SuperMario diventa arte
…..tuttavia questi mondi sono sempre in contatto con lo spazio nel quale si muove il player, il quale – un po’ come accede nelle sculture Optical Art – può continuamente modificare i “paesaggi” in cui si imbatte. Si può destreggiare senza limiti. Ma deve attenersi a una griglia di opportunità prestabilite. E’ costretto in una libertà condizionata: il perimetro delle sue azioni è già stato predisposto. Può solo adeguarsi ai sentieri tracciati dal dispositivo. La sua è un’interattività governata da possibilità pre-calcolate.
Il videogame come opera d’arte, dunque. Che, talvolta, può prendersi anche il gusto di giocare con l’arte stessa. In questi casi l’obiettivo è di tipo didattico: docere delectando. Come accade in Iconoclast di Lorenzo Pizzanelli, che è accompagnato da un ricco apparato ipertestuale (con informazioni sui capolavori che, di volta in volta, scopriremo). La struttura adottata è elementare (modulata su ‘Pac Man e su SuperMario) mentre la grafica sperimentata è sofisticata.
Il giocatore è invitato a intraprendere una passeggiata in un immenso archivio di figure, tra trappole e trucchi. Per ripercorrere l’intera storia dell’arte Occidentale, è chiamato a indossare gli abiti dell’iconoclasta per eccellenza del XX secolo: Marcel Duchamp.
In ogni tappa, il “nostro” Duchamp deve liberare un dipinto imprigionato in qualche museo. Per vincere, deve evitare gli attacchi di vario genere, sferrati da nemici come il drago di Paolo Uccello, la Medusa di Caravaggio, il Napoleone a cavallo di David. Passiamo dal compianto sul Cristo morto di Giotto a San Giorgio e il drago di Paolo Uccello, dal David di Michelangelo all’Innocenzo X di Velàzquez, dal Campo di grano con corvi di Van Gogh al Quadrato nero su bianco di Malevic, dalla Gioconda di Leonardo al suo doppio, al L.H.O.O.Q. di Duchamp. Si evoca il significato profondo dell’azione delle prime avanguardie: dissacrare, disorientare, infrangere la gabbia della tradizione, per difendere la forza di un gesto scandaloso.
Ed ecco il premio finale. La liberazione dell’opera più provocatoria del Novecento: Fountain di Duchamp, un igienico capovolto. Quel Duchamp che aveva detto: “L’arte è un gioco, e i giochi sono arte”.
da Corriere della sera – La lettura pag. 7 – Domenica 12 Febbraio 2012
Qual è l’atteggiamento con cui guardiamo oggi all’opera d’arte?
Una domanda che ne presuppone altre del tipo: cosa ci attendiamo da un’opera d’arte? O affondando ancora di più il coltello: cos’è oggi l’arte?
Quesiti che creano qualche disagio e che quando calano così all’improvviso e senza giustificato motivo, lasciano l’addetto perplesso e pronto a sfoderare le poche e decisive parole di circostanza del tipo: la questione è molto complessa e meriterebbe una lunga analisi, eccetera eccetera.
L’abilità a sottrarsi fisicamente, ad un certo punto diventa decisiva. Naturalmente è vero che la questione si presenta complessa, ma così tanto che risulta impossibile ridurla a quei pochi semplici dati con cui di solito oggi molte questioni, altrettanto complicate, sono apparentemente risolte e sopratutto preparate per l’immancabile versione mediatica.
Il dato sostanziale è che manca un’ipotesi estetica comune e condivisa, qualcosa di simile ad una serie di categorie a cui adeguarsi o contro cui ribellarsi. Dal momento in cui l’arte è stata privata delle convenzioni rappresentative ed estetiche che la differenziavano da artigianato, cucina, comunicazione e quant’altro, è cose se il contenitore-arte fosse diventato un modulo di passaggio, un tubo senza fondo e senza coperchio.
Questo breve preambolo alle breve considerazioni sul lavoro di Lorenzo Pizzanelli che seguiranno, si è reso necessario per dare conto di alcune coordinate tanto essenziali quanto, penso, scontate, su quello che oggi è l’utilizzo delle nuove tecnologie per l’elaborazione dell’opera d’arte e sopratutto sulle specifiche problematiche che comportano.
Innanzitutto a differenza di quanto accadeva ad esempio con la tecnologia della pittura ad olio, l’utilizzo dei nuove media è un patrimonio ampiamente condiviso dal novantanove percento della popolazione di età e cultura media dei paesi occidentali. Questo significa che quando guardo Moschea o Iconoclast Game, ho subito chiaro il codice linguistico e il dimensionamento concettuale e formale di quello che vedo.
In un certo senso si stabilisce una perfetta continuità con chi, all’epoca, ha cominciato a guardare con consapevolezza all’orinatoio di Duchamp, ma anche alle immagini di Warhol o ai gesti e alla parole di Beuys, individuandone con facilità gli elementi linguistico-formativi. L’appartenenza ad un quotidiano riconoscibile delle immagini e degli elementi attraverso cui è elaborata la rappresentazione, stabilisce una separazione netta tra questa condizione estetica (la nostra) e quella precedente.
Naturalmente la distinzione tra quotidiano banale e quotidiano che diventa arte comporta qualche pericolo, come il rischio di cadere in qualche inganno o semplice errore di valutazione, e nondimeno proprio questa difficoltà di separazione è causa di certe domande. Situazione che vede la sua iperbole proprio nella dimensione dei nuovi media. Qui infatti le istintive reazioni estetiche, prodotte dalla, per così dire, classica fruizione dell’opera d’arte, non entrano in funzione.
Pur riconoscendo la quotidianità degli strumenti, non ne riconosciamo ancora la potenzialità estetico-concettuale. Esemplare è in questo senso Iconoclast Game. Tutti, o quasi, abbiamo giocato con i video game. Da Lara Croft a Quake, Metal Gear, calcio, formula uno e così via. Ambientazioni straordinarie, fedeltà e qualità delle immagini sempre migliori, sceneggiature interessanti, eppure niente a che vedere con l’arte.
Semplicemente è implicito il fatto che quelli che sono i dati estetico-concettuali del gioco, hanno la finalità di rendere credibile il mondo in cui ti trovi ad agire.
Evitando la proposizione kantiana del bello che è tale perché privo di finalità, quando giochi ad Iconoclast Game, niente è fatto per essere credibile in senso proprio, ma tutto è costruito in modo che dalla gestualità che è richiesta al fruitore si crei una possibile riflessiva, analitica, del contesto reale in cui invece siamo.
In definitiva, se il videogioco tende a trasportarci nella sua realtà (fiction), il gioco elaborato da Pizzanelli c’induce a guardare al nostro reale spogliandolo delle sue finzioni.
Così anche Moschea importa nella nostra riflessione la concretezza della ciclicità della storia e della difficoltà di rendere definitivo un risultato auspicabile – quello di schiacciare una volta per tutte il “predominante” di turno. É un gioco, formulato come tale e reso disponibile nel modo più semplice, ma non t’induce ad escludere il reale, tutt’altro.
Non molto dissimile per esiti concettuali è la splendida opera d’arte d’ispirazione televisiva Comizi di Non Amore, realizzata da Francesco Vezzoli. Un affresco tanto straordinario quanto doloroso, che dalla finzione rappresentata ti obbliga a guardare alla realtà nella sua versione più cruda. Ma oltre questo ribaltamento che l’arte realizza su mezzi che nel quotidiano sono invece intenzionalmente unidirezionali in senso contrario, l’altro aspetto che vale la pena sottolineare è l’effetto estetico che comporta questa invasività elettronica e di come invece l’elaborazione in opera d’arte imponga una diversa percezione. Se infatti le immagini elettroniche nascono inizialmente da una simulazione di quelle reali, capita ormai in modo evidente che molto del nostro ambiente reale – abbigliamento, arredamento, veicoli, eccetera – sia frutto di un tentativo di ritrasformare l’immagine elettronica in reale.
Elevata saturazione dei colori, della compattezza delle superfici, facile intercambiabilità dei singoli elementi. Tutti aspetti che hanno a che fare con un condizionamento estetico a causa del quale tendiamo a rendere analoghi i diversi ambienti in cui ci muoviamo nel quotidiano. Il lavoro di Pizzanelli taglia questa ricerca di continuità. Non agisce sul reale riconfermandone gli standard consueti, ma riporta l’immagine elettronica alla sua dimensione di finzione, sottolineandone la condizione di altro dal reale e ristabilendo la continuità attraverso l’interattività.
É un’operazione tanto banale quanto sofisticata dal punto di vista concettuale, che comporta la capacità di eludere una serie di dati con cui agiamo in automatico nel quotidiano, a favore di una presa di coscienza della diversa natura degli ambienti in cui contemporaneamente siamo.
Perché come sempre l’arte è un dispositivo più efficace per comprendere il luogo e il tempo in cui si è.
Raffaele Gavarro – Maggio 2004
LORENZO PIZZANELLI (ITALY). Iconoclast Game is a computer action game in the most common sense. All its canonical characteristic are included a hierarchical structure of several levels to complete, lethal hostile entities to shoot at objects to collect along the way, time and energy bars varying according to how the player performs the expected taxk, a limited number of lives and the looming menace of the “game over”. All the more, in its quintessence Iconoclast Game is a playful overwiew on the histoty of Western Art up to Contemporary Times.
At the beginning of the game, the player can choose if playing it as Marcel Duchamp or his alter ego Rrose Sélavie. The hero’s movements and actions are controlled by a specially devised platform activated with the player’s legs. The initial setting is a museum modelled after the Pantheon where hordes of tourists must be faced in order to progress to the following level.
Proceeding ahead, moving along rich backgrounds crammed with the most curious art references, Marcel (or Rrose) encounters a great variety of works of art made by the must prominent personalities of Western art: from Leonardo da Vinci to Jeft Koons, from Rembrandt to Beuys, from Giotto to Orlan.
Unexpected in an action game, not always these masterpieces are benign: e.g, flying Mona Lisa’s smiles out to be lethal and must be killed with a spray bottle, whilst menacing Michelangelo’s Davids – dished out by a Tinguely’s machine – have to be smashed down with a hammer. Century after century, masterpiece after masterpiece the game goes on until the final prize is achieved: a golden variant of one of the most representative objects of Modern art in the West: Duchamp’s Fountain.
Da: Catalogo Art Digital 2004 ( January – 28 February -2005)
produced by M’ARS Association – Mosca (Russia) – Pag. 28,29.
Iconoclasm has very ancient roots. It is most strongly stated in the Bible, that strictly prohibits both the worship of images, that is to say idols, and portrayals of God and hence of all living creatures. In Judaism, however, this was enforced to varying degrees. Islam gave an even stricter interpretation and, indeed, Muslim art rarely depicts images and comprises mostly abstract, decorative patterns.
In Christianity, the interpretations were often opposed and the topic was widely discussed starting from the earliest councils of the Church. In the 8th century, and mainly under the Emperor Constantine Copronymus, images were strictly banned and this led to persecution and slaughters among the opposing factions that came to an end in the 9th century with the Empress Irene.
However, the opposition to the figurative art, especially on religious themes, continued through other periods in history, for example during the Protestant Reformation when images were associated with an expression of (wickedness) luxury.
In general, however, we can say that iconoclasm in the strict sense has only and simply to do with the matter of depicting the divinity and everything related to Him (sacred objects and everything that lives since it was all made “in the image of God”).
This, however, does not exhaust all the meanings of the word. In modern times, and especially with the 20th century historical avant-gardes, a very special and broad form of iconoclasm began to make headway. It was the battle against the worship of images in general, in this case the “adoration” of classical art that was figurative, canonical, faithful to models of portrayal that were rejected by contemporary artistic movements.
In this sense the Italian Futurists were “iconoclasts”, as were the Russian Suprematists, the Surrealists and the Abstract artists in general.
The Iconoclast Game presented here (created by Lorenzo Pizzanelli, a video-artist of our days) fits into this last category. First of all, we have to repeat that it is a video-game. The player has to take a journey – filled with threats, dangers an pitfalls of all kinds – through the entire history of Western Art. He or she does so by assuming a symbolic role, that of the Dadaist Marcel Duchamp (the icon, to tell the truth, probably bears a greater resemblance to the Surrealist René Magritte) who was an iconoclast par excellence. In each level of the game the player has to try to “liberate” a work of art that is imprisoned somewhere (the basic idea is that the prisons are museums). The battle, however, consists in avoiding attacks of different types produced by the figurative content of the masterpieces.
For example: the enemy coming from the Saint George and the Dragon by Paolo Uccello is abviously the dragon, just as it the Medusa in the painting of the same name by Caravaggio, or Napoleon on horseback from the painting by Jacques Louis David. Episode after episode, we see and “fight against” masterpieces, from the mosaic in the church of Sant’Apollinare in Classe, to the Lamentation over the Dead Christ by Giotto, Paolo Uccello, the David by Michelangelo, Caravaggio, David, Pope Innocent X by Velàzquez, the Wheatfield with Crows by Van Gogh, the Black Square by Malevic, the Mona Lisa by Leonardo and its double, L.H.O.O.Q. by Duchamp, learning important things about art itself (and the CD also contains interesting, under-standable information about the various periods in art history).
The game is quite fun, even if it is relatively easy, modeled as it is on the by now historic Pacman or the just as famous Mario (in terms of structure and organization, but here the graphics are much more sophisticaded). Above, all, however, the game is a work of art because, as we mentioned, it is based on the various positions of the historical avant-gardes concerning the imprisonment of Western visual-esthetic culture. It is no coincidence that there are many, quotations, especially those aimed at desecrating the view, or concept, of art as a group of clichès and banalities. Of course, there is the risk of trivializing the idealogies of the historic avant-garde. But then, why not, especially since their anti-conventional message is still having trouble making itself understood and accepted even today? It is no surprise that you win the game by “liberating” the work of art which was absolutely the most iconoclastic in history, Fountain by Marcel Duchamp, the urinal that the artist sent to New York for a exhibition of contemporary art. It is as if to say that Dada has finally won the day.
Il nome stesso di questo video-gioco, il primo videogioco d’autore, è provocatorio: Iconoclast Game. Iconoclastia significa letteralmente distruzione delle Icone, delle immagini sacre. Fu la grande querelle che contrappose nei secoli Vlll e lX la Chiesa d’Oriente alla Chiesa di Roma: la prima considerava pericolosa idolatria il culto delle immagini sacre, perché il divino è indescrivibile, e quindi le distruggeva, mentre la seconda riteneva invece che le immagini fossero un semplice mezzo per omaggiare il divino e che fossero collegate al tema della incarnazione di Cristo: poiché Cristo aveva preso un corpo poteva anche temporaneamente farsi icona.
A questa querelle anche sanguinosa mise punto il secondo concilio di Nicea nel 786, che affermò il valore delle immagini e sconfisse gli iconoclasti.
L’importanza di questo concilio per gli sviluppi dell’arte occidentale non saranno mai abbastanza sottolineati, se non ci fosse stato noi non avremmo i capolavori di Leonardo e Michelangelo…
Ma quale è l’iconoclastia a cui si riferisce Lorenzo Pizzanelli? É quella ad esempio di Duchamp che mette i baffi alla Gioconda. Perché Duchamp fa questo gesto beffardo? per evidenziare come un’opera possa proprio per eccesso di forma diventare uno stereotipo, svuotandosi di significato, ed essere in effetti troppo visibile per essere realmente vista, come poi ci ha dimostrato Warhol moltiplicando la Gioconda come un logo industriale.
L’atto del “vedere – essere visto” per Duchamp significava andare oltre il rispecchiamento della retina per attivare la mente, la sua iconoclastia è un atto critico. Del resto, il filosofo Rosario Assunto in un libro sul pensiero medievale del 1961 ha definito l’iconoclastia – riferendosi all’iconoclastia storica – un comportamento critico spinto alle estreme conseguenze.
D’altra parte il paradosso contemporaneo è proprio quello di vivere in un mondo di immagini, ma a cui siamo sempre più indifferenti a causa di overdose; anche il rapporto con l’arte ne risente, irregimentato come è nelle visite forzate ai musei-luoghi di culto, tappa obbligata del tempo libero, dove ogni esperienza diventa particolare e anestetizzata, e l’arte è un semplice feticcio.
Paradossalmente a riconoscere il potere delle immagini, a non essere anestetizzati, sono proprio coloro che ancora distruggono le immagini, come i talebani che hanno abbattuto le grandi statue del Budda.
L’iconoclastia di Pizzanelli ovviamente non ha a che fare con quella dei talebani, ma con quella di Duchamp. É Iconoclastia per la quale possiamo riprendere la vecchia definizione di Assunto: un gesto critico che in questo caso nasce dall’amore dell’arte. Gioco perché, come ha detto lo storico Huizinga, è attività centrale dell’uomo alla base della cultura e della conoscenza.
Video gioco perché le nuove tecnologie hanno aperto un nuovo spazio straordinario alla nostra attività ludica.